lunedì 20 settembre 2010

Quando il diritto di associazione diventa un dovere di Stefania De Nicolais per il Melatino

Il diritto di associazione è garantito dall'art. 18 della Costituzione italiana, che recita: “I cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.”

Tale diritto garantito dalla Costituzione è funzionale alla crescita della società; è diretto a porre i cittadini al centro della vita politica e sociale della comunità di riferimento.

La libertà di associazione è, infatti, una libertà strumentale. La Costituzione garantisce la libertà di associazione in quanto considera quest'ultima come un libertà indispensabile per favorire lo sviluppo della persona umana e la sua partecipazione alla vita economica, politica e sociale del Paese, nel rispetto dei principi enunciati dall'art. 2 della nostra carta costituzionale.

Ci si associa sempre per uno scopo. Sostanzialmente viene garantito alle persone di mettersi insieme per raggiungere un determinato obiettivo, sostenuto da interessi comuni.

La domanda che dovrebbe indurci a riflettere è la seguente: perché ci si associa esclusivamente per lo scopo e mai per gli strumenti finalizzati a raggiungerlo?

L'obiezione lecita a questa domanda è che comunque solo la condivisione delle idee può determinare il raggiungimento del medesimo scopo. A questo punto è doveroso chiedersi perché si verifica lo scioglimento di un'associazione. La risposta più ovvia è il venire meno dello scopo associativo.

E se fosse la condivisione degli strumenti finalizzati al raggiungimento dello scopo a venire meno?

Si potrebbe ipotizzare per esempio un diverso modo di intendere l'associazione da parte dei singoli soci o una diversa opinione di vivere il ruolo di socio, che probabilmente non è stata esplicitata ed è per questo che è fondamentale la condivisione degli strumenti di funzionamento dell'associazione che non può limitarsi alle semplici norme di funzionamento stabilite nello statuto.

In questo momento particolare di estate e vacanze, mi piace utilizzare come esempio la montagna. Scalare la vetta, in fondo, non è altro che il perseguimento di un obiettivo.

Il raggiungimento di una determinata meta, però, dovrebbe essere sempre preceduto dalla scelta del percorso. Anche se diverse strade conducono al medesimo punto, lo spirito associativo ha la specifica funzione di studiare i percorsi possibili, valutare le difficoltà e solo dopo la condivisione degli strumenti per superarle, partire per raggiungere l'obiettivo.

La valutazione del percorso non è altro che lo strumento per raggiungere lo scopo insieme, senza perdersi, senza lasciare che qualcuno si avventuri fuori sentiero causando un rallentamento del gruppo o, nella peggiore delle ipotesi, costringerlo a tornare indietro.

Esistono particolari circostanze, inoltre, in cui la condivisione degli strumenti è fondamentale per la vita di un'associazione: quando il diritto di associazione diventa un dovere per i cittadini; la crescita di una società, come quella dell'uomo, infatti, non è esclusivamente un fatto naturale, ma la coltivazione quotidiana di scopi condivisi.

E quando diventa un dovere? La risposta è semplice, forse troppo: quando si comprende che il singolo, da solo, non è in grado di raggiungere un determinato scopo ma ha bisogno della forza e dell'aiuto degli altri membri della società per migliorare e crescere. La finalità, infatti, non è lo scopo in sé, ma quello che esso determina all'interno della società: il miglioramento e la crescita.

Quando il diritto si è trasformato in dovere è indispensabile condividere il percorso, perché raggiungere la vetta non è semplice cammino, ma godersi insieme lo spettacolo del mondo e comprendere che solo congiuntamente è possibile tutelarlo.

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